I cavalieri

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Thunder87
view post Posted on 7/7/2007, 17:37




L’Ideale Cavalleresco
Benché i cavalieri fossero uomini di guerra, si facevano un punto d’onore di comportarsi, appunto, “cavallerescamente” con i loro nemici.

L’Educazione del Cavaliere
Quando un rampollo di nobile casata era ritenuto maturo per iniziare la sua educazione di cavaliere (ciò avveniva intorno ai sette anni), veniva inviato come paggio nella dimora di un gentiluomo (spesso un parente, come uno zio, oppure un grande signore).
Qui imparava sia a stare in società, sia a cavalcare. Intorno ai quattordici anni passava al seguito di un cavaliere in qualità di scudiero. Apprendeva così a maneggiare le armi, ad accudire il cavallo del suo signore, a tenere in ordine il suo equipaggiamento.
Accompagnava il cavaliere in battaglia, aiutandolo ad indossare l’armatura e soccorrendolo quando era ferito o disarcionato. Imparava a tirare con l’arco ed a trinciare la carne da mettere in tavola. Infine, se svolgeva in modo soddisfacente questo apprendistato, intorno ai ventuno anni, riceveva la sospirata investitura a cavaliere.
I giovani che volevano assurgere al rango di cavaliere, dovevano curare con attenzione la loro preparazione fisica. Così, gli scudieri esercitavano in continuazione i loro muscoli e si addestravano con costanza nell’impiego delle armi. Era un tirocinio di notevole durezza, a cui non tutti resistevano. Infatti, solo quelli che resistevano, potevano aspirare al cavalierato.
Il compito iniziale dello scudiero, come si evince dal nome stesso, era quello di portare lo scudo del cavaliere. Lo scudiero era infine nominato cavaliere con una solenne cerimonia di investitura. Il “buffetto”, affibbiato con la mano sulla guancia o sulla nuca del neo cavaliere, venne sostituito nel XIII secolo da un colpetto dato con il piatto della spada. Il cavaliere cingeva poi spada e speroni, ornamenti con cui partecipava alle successive celebrazioni, in cui faceva sfoggio della sua abilità. La cerimonia d’investitura era sempre seguita da un altro cavaliere (spesso il signore presso cui il neocavaliere era stato scudiero e, talvolta, anche dallo stesso re).

Il Cavaliere e le sue Armi
La spada era l’arma più importante del cavaliere, il simbolo stesso della cavalleria. Fin verso la fine del Duecento, la tipica spada da combattimento era a lama larga ed a doppio taglio; ma, con il diffondersi delle armature a piastre, vennero in uso spade più lunghe e sottili, adatte a colpire di punta, così da infilarsi nei sottili spazi, tra una piastra e l’altra.
Venne acquisendo favore anche la mazza ferrata, eccellente per fracassare le armature. Prima di impugnare la spada o la mazza, tuttavia, il cavaliere caricava l’avversario con la lancia abbassata.
Anche la lancia venne trasformandosi con il tempo, aumentando la sua lunghezza e munendosi, a partire dal Trecento, di una guardia circolare a protezione dell’impugnatura. Altre armi, come l’ascia da guerra a manico corto, potevano essere saltuariamente usate nel combattimento a cavallo. Gli spadoni dall’impugnatura allungata, da afferrare a due mani, erano invece riservate per i combattimenti a piedi.

In Sella
Le cavalcature erano un elemento costoso, ma fondamentale, nell’equipaggiamento del cavaliere. Occorrevano cavalli per combattere, altri per cacciare, altri ancora per le giostre, per i tornei e per trasportare i bagagli. La cavalcatura più costosa era il destriero, cioè il cavallo da battaglia. Si trattava, generalmente, di uno stallone di grosse dimensioni. La sua cassa toracica ne faceva un animale molto solido e resistente, ma era anche agile nei movimenti. Tra questi spiccava il “corsiero”, veloce cavalcatura da caccia (talvolta la definizione veniva usata anche per cavalli da battaglia, così come il “destriero” poteva indicare l’animale da torneo).
Per viaggiare veniva usato il “palafreno”, dal carattere più docile e malleabile, mentre per trasportare i bagagli si utilizzavano tranquille e robuste bestie da soma.
Anche il cavallo da battaglia portava, generalmente, una corazzatura a protezione della testa, del collo e del petto, mentre il resto del corpo era rivestito da una gualdrappa colorata e, spesso, decorata affinché mostrasse le insegne araldiche del cavaliere; poteva anche essere imbottita per attutire i colpi ed, in qualche caso, era addirittura di maglia metallica.

In Battaglia
Le regole della cavalleria imponevano rispetto per il nemico vinto. Il che, oltre ad essere umano, permetteva di lucrare il riscatto dei prigionieri, per lo meno se di alto rango. Ma questo codice morale non era sempre osservato da parte di uomini eccitati che avevano visto in faccia la morte. Il rischio di una battaglia campale era enorme: vi si poteva perdere l’intero esercito, od anche il trono. Perciò la tattica preferita dai comandanti era il saccheggio e la devastazione del territorio nemico. Così ci si procacciavano provviste a buon mercato, si distruggevano le proprietà dell’avversario e si dimostrava ai suoi sudditi che il loro signore non era in grado di proteggerli. Per contrastare questa tattica, l’invaso cercava di braccare quanto più da vicino poteva l’esercito nemico, così da impedirne lo sparpagliamento nel territorio.
Sicuramente, queste parole non danno un’immagine fiera ed orgogliosa di un cavaliere, ma dobbiamo ricordarci che stiamo parlando del particolare momento di una battaglia o di una guerra, e, per antonomasia, questi momenti non sono i più adatti a mostrare le virtù di un Cavaliere, che , in tempo di pace, si comporterebbe in tutt’altro modo.

Il Torneo
I guerrieri dovevano esercitarsi continuamente alla battaglia, ed il torneo nacque proprio come pratica di addestramento bellico: due quadre contrapposte di cavalieri, talvolta coadiuvate da schiere di fanteria, combattevano una finta battaglia in un vasto spiazzo campestre. I cavalieri sconfitti cedevano al vincitore cavallo ed armatura: un buon combattente poteva così arricchirsi lecitamente, esercitandosi alla lotta. Nei primi tempi si impiegavano armature da battaglia ed armi vere. Nel Torneo ad armi spuntate si affrontavano due squadre di cavalieri armati di grossi randelli o di armi spuntate. Lo scopo dei contendenti era quello di colpire il cimiero, posto sugli elmi degli avversari, evitando la faccia (protetta comunque da apposite griglie). Ogni cavaliere aveva al suo fianco un porta stendardo; una serie di serventi (chiamati “valletti”) erano pronti a raccoglierlo se cadeva. Al centro del campo, tra le due corde che separavano le squadre contendenti, cavalcava il cavaliere d’onore; sulle tribune si accalcavano le dame e trovavano posto i giudici del torneo.
Nel frattempo, comparivano altri tipi di combattimento simulato come la “Giostra,” la “Tenzone” ed il combattimento a piedi.
Il rutilante scenario di un torneo era il luogo ideale per far mostra di blasoni e di ogni altro tipo di fantasioso ornamento araldico. I cavalieri vi indossavano anche svolazzanti pennacchi, che, invece, erano scomparsi ben presto sui campi di battaglia.
Le dame ispezionavano vessilli ed elmi dei concorrenti prima del torneo. Se una di esse veniva a conoscenza che un cavaliere aveva violato le leggi della cavalleria, ne gettava l’elmo a terra ed il concorrente veniva escluso.

La Giostra
In essa i cavalieri si combattevano uno contro l’altro singolarmente, in duello. Era, dunque, uno scontro in cui un combattente poteva dimostrare la sua valentia senza turbamento di elementi estranei. Generalmente i contendenti si battevano a cavallo, usando le lance, tuttavia, in qualche occasione, continuavano la lotta anche a colpi di spada. I due cavalieri si lanciavano l’uno contro l’altro al galoppo, cercando ognuno di disarcionare l’avversario con un ben assestato colpo di lancia. Se non ci riusciva, ma comunque si arrivava a spezzare la lancia contro lo scudo dell’opponente, si “segnava un punto”. Talvolta ci si scontrava in una “giostra di guerra” usando lance da battaglia dalla punta acuminata, che potevano anche uccidere un uomo (disfida di Barletta); ma in generale ci si batteva in una “giostra di pace”, impiegando lance smussate o con un tampone in cima: una specie di coroncina che distribuiva su una superficie maggiore l’impatto del colpo. Per la giostra si svilupparono anche armature di tipo particolare, che garantivano una maggiore protezione.

Il combattimento a piedi
Ogni contendente doveva effettuare un numero prestabilito di assalti, in alternanza con l’avversario, gruppi di armigeri erano pronti ad intervenire se i contendenti si eccitavano troppo.
Le cronache riferiscono che ognuno dei contendenti scagliava un giavellotto; quindi la lotta proseguiva con la spada, con l’ascia o con armi in asta. Ancora più tardi si affermarono scontri a squadre, con due gruppi di armati combattenti ai lati opposti di una barriera: era il cosiddetto “torneo appiedato”. Infatti, proprio come nel torneo a cavallo, ogni uomo doveva spezzare una lancia contro l’avversario e poi continuare a battersi utilizzando spade dal filo smussato.
 
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